Plurifuoriclasse


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Storie di amicizia e solidarietà

Racconti

Nel Regno dei Colori
(questo racconto ha vinto il premio letterario AIDO 2008)

C’era una volta un paese che si chiamava il Regno dei Colori.
Nel Regno dei Colori tutto era colorato: gli alberi erano pieni di fiori, ciascuno di un colore diverso , i conigli erano rossi, gialli, rosa e viola, ma non marrone, grigio o neri e non avevano le macchie.
In cielo splendeva sempre l’ arcobaleno e volavano le farfalle.
In quel paese persino le case erano di tutti i colori.


In quel paese viveva anche un mostro tutto grigio.
Il mostro grigio aveva otto occhi: quattro piccolissimi e quattro grandissimi, aveva anche tre mani ciascuna con dieci dita e quattro gambe lunge e magre.
Si chiamava Grisius e non era colorato, ma solo grigio .
Le orecchie erano grandi come valigie , la faccia era lunga e brutta , aveva pochi, lunghi capelli grigi .
Di carattere era invidioso e per questo era sempre arrabbiato.
Si muoveva però velocissimo, ruotando su se stesso e oscillando, perciò era imprendibile.

Un giorno il mostro Grisius si stancò di essere preso in giro per il suo brutto colore così rubò il colore rosso e non solo un pochino ma proprio tutto: le fragole diventarono grigie le ciliegie persero tutto il colore i pomodori rimanevano verdi, anche se erano maturi, persino Babbo Natale diventò grigio e le sue renne non lo fecero più salire sulla slitta.
Quel giorno il torero Achiller doveva fare una importante corrida, nell’arena il toro stava aspettando il torero e il pubblico applaudiva.

Però quando il torero Achiller tirò fuori il suo drappo rosso tutti si accorsero che era diventato grigio e il toro sbadigliò e si addormentò.
Il pubblico fischiò e se ne andò facendo Buuu! allora il direttore uscì dal suo ufficio e licenziò il povero torero Achiller.

Achiller triste e disperato andò dal suo amico folletto Furbix che capì subito che il colore rosso era stato rubato dal mostro Grisius e insieme andarono nel bosco a cercarlo.
Achiller e il folletto Furbix salirono sopra all’ albero preferito dal mostro.
Finalmente il mostro venne a raccogliere le mele e dopo averne raccolte tante, si sedette per terra e si riposò.

Mentre si riposava Achiller e il folletto tirarono giù una rete per catturarlo, ma il mostro si svegliò e scappò via velocissimo ruotando e oscillando.
Allora il folletto Furbix e Achiller andarono dallo gnomo Sotuttio.
Era questo uno gnomo vecchio e molto saggio, grasso e serio, aveva studiato cento anni nella scuola degli gnomi. Aveva un laboratorio grande con un computer quasi grande come lui.

Lo gnomo gli diede della polverina magica e il torero provò a cospargerla sul drappo ma non riuscì a farlo tornare rosso.
Lo gnomo allora disse: “Prova a usare questa pomata di sangue di serpente” La spalmarono sul drappo ma questo restò grigio, allora lo gnomo disse: “Proviamo con questo sangue di strega”, ma neppure quello funzionò.

Quindi Sotuttio tirò fuori dalla sua cassa degli oggetti magici uno stroboscopio e gli spiegò come usarlo.
Lo stroboscopio è uno strumento che serve a far vedere ferme le cose in movimento.
Achiller e Furbix tornarono nel bosco a cercare il mostro Grisius, lo trovarono e lo catturarono con l’aiuto dello stroboscopio, poi si fecero restituire il colore rosso, ma non tutto, ne lasciarono un pezzettino al mostro e gli donarono anche un pezzetto di ogni altro colore, perciò il mostro non fu più grigio ma diventò tutto colorato e da quel giorno volle essere chiamato
Arcobalù.


La Lufrandona


C’era una volta un animaletto di nome Lufrandona che viveva nella foresta incantata, era una chiocciola molto generosa e molto simpatica, grande e bella, colorata di arancione con strisce gialle e blu.
Un giorno la Lufrandona decise di fare una passeggiata nella foresta, cammina, cammina si allontanò troppo da casa e si perse.
Il suo guscio pesante le impediva di andare veloce e si agganciava ad ogni spina, ad un certo punto si trovò sopra una rupe si sbilanciò e cadde battendo la testa sopra un sasso e svenne. Quando dopo un po’ si riprese, la chiocciola esclamò: “Come è ingombrante questo guscio, come sono fortunate le mie cugine lumache a non averlo!!”
Verso sera però si scatenò un tremendo temporale e la Lufrandona fu ben felice di ripararsi dentro il suo guscio e di starsene asciutta e protetta tutta la notte.
La mattina dopo incontrò una formica che piangeva disperata. “Perché piangi?” le domandò la Lufrandona. “Piango perché io e le mie sorelle abbiamo perso la casa per l’alluvione di questa notte e ora non sappiamo dove ripararci”. “Anche io sono disperata” Replicò la Lufrandona “Perché mi sono persa e non riesco più a tornare a casa”. La formica disse: “Ti posso aiutare io, conosco tutti i sentieri di questa foresta” e gentilmente l’aiutò a tornare a casa.
Così la Lufrandona per riconoscenza le donò il suo guscio. La formica felice gridò: “ Grazie, mi serviva proprio questo guscio, sarà una casa meravigliosa per me e per le mie sorelle!”
La Lufrandona senza guscio andò a vivere dalle sue cugine lumache che la accolsero con affetto, ma tutte le volte che piove la Lufrandona si fa una corsa fino a casa perché non le piace bagnarsi e non si è ancora abituata a vivere senza guscio.
Perciò se vi capiterà di vedere una lumaca che corre sotto la pioggia potete star certi di aver incontrato la Lufrandona.

Il Castordentoro


C’era una volta un animale che assomigliava ad un castoro. Si chiamava Castordentoro, aveva il corpo di color marrone chiaro con delle macchioline nere. La testa era piccola e rotonda, aveva gli occhi verdi, il naso a patata e i suoi denti erano lunghi e d’oro.
Viveva nel Campo delle Renne Magiche che era immenso e luccicante di sole perciò il clima era sempre caldo e i boschi fitti e allegri.
Un bel giorno di primavera Castordentoro andò a bere a una sorgente con acqua magica, mentre beveva diceva: “Oh, come mi piace l’acqua magica!” Quando improvvisamente sentì un grido provenire dal Campo delle Renne Magiche, corse subito al Campo e vide l’Arcorenna, il capo delle Renne Magiche, che piangeva disperato, lo sentì dire alle sue renne che se non avessero trovato due lastrine d’oro il Campo delle Renne Magiche sarebbe sparito e loro si sarebbero dissolte nell’aria. Questo perché quel mattino un potentissimo mago col cappello a punta e il mantello nero come l’oscurità, aveva fatto un incantesimo per distruggere il Campo delle Renne Magiche, a meno che le renne non gli avessero dato due lastrine d’oro entro la sera stessa.
Allora il Castordentoro preoccupato per le sue amiche renne, si tolse i due lunghi denti d’oro e li donò all’Arcorenna, che, mentre si asciugava le lacrime disse: “Grazie mille, Castordentoro, ti saremo sempre riconoscenti e ti aiuteremo noi renne, con le nostre lunghe corna, a costruire le tue dighe”.
Il Castordentoro tornò a casa senza denti, ma felice di aver salvato il Campo delle Renne Magiche.

ELEKTROBRAZZ


Un giorno, in un futuro lontano, sulla Terra le scorte di elettricità finirono, non ci fu più petrolio, e le lampadine non fecero più luce . La terra restò così al buio.
Un mostro elettrico in viaggio nello spazio cosmico, dovette fare un atterraggio di emergenza e cadde sulla Terra.
Questo mostro di pura energia si chiamava Elektrobazz, la sua testa emanava scariche di elettricità, il suo sangue era corrente che scorreva in vene di rame, veniva da un altro pianeta di nome Nameck.
Nameck è un pianeta che al posto degli alberi ha fili di rame intrecciati, al posto dei palazzi ci sono pile alte come grattacieli. Le automobili sono calamitate e per questo sono sospese venti centimetri da terra, perché le strade sono piste magnetiche.
Lì ci sono molti fulmini, gli abitanti namecciani si nutrono di bulloni e bevono olio per motori. C’è un’unica pianta che fornisce da mangiare a tutto Nameck. La pianta si chiama Bullon perché i frutti sono bulloni.
Cadendo sulla terra Elektrobazz, per l’urto violento, si svitò tutto: la testa rotolò da una parte, le braccia e le gambe da un’altra.
Accorse gente che guardandolo stranamente sussurrava: “Questo che mostro è? Da dove viene? Sarà pericoloso?” Dopo, però, capirono che dovevano aiutarlo, così chiamarono elettricisti ingegneri e scienziati che lo rimisero a posto.
Il mostro per riconoscenza donò buona parte della sua elettricità agli abitanti della Terra che si erano dimostrati così buoni con lui. Però questo dono gli impedì di ripartire perché non aveva più abbastanza energia per affrontare un viaggio interplanetario fino al pianeta Nameck, allora i
terrestri per consolarlo lo elessero ministro dell’elettricità.

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